this_orient di césar meneghetti [it]

Il lavoro di César Meneghetti assomiglia a una costellazione, addensata attorno al tema centrale del confine, inteso come separazione e passaggio da una condizione ad un’altra, e di cui lo split-screen si fa tropo. La linea – che sullo schermo separa la zona a colori da quella in bianco e nero, ad esempio, oppure divide la ripresa naturalistica da quella con gli effetti digitali, o ancora delinea inserti cromatici applicati simulando il collage – è permeabile, così che le immagini trascorrano liberamente dall’una all’altra metà. Più simile a una frontiera che non un fronte, si potrebbe dire, con un’immagine forse cara all’artista e cineasta italo-brasiliano che si muove a suo agio fra tecniche, linguaggi e ruoli professionali differenti, tanto che nella sua ricerca film, video e fotografia sembrano passarsi il testimone. La soluzione stilistica reiterata da Meneghetti diventa metafora della dicotomia – che permea il suo lavoro – fra l’abbandono del naturalismo e l’attrazione per l’immediata eloquenza della realtà. L’autore cattura quest’ultima con la macchina fotografica e la telecamera, di cui si serve per esplorare contesti sociali o far vivere i ricordi con la stessa «distratta attenzione» che gli permette di assorbire l’atmosfera dei luoghi, di oltrepassare le diffidenze per entrare in contatto con le persone, alla ricerca di ciò che si nasconde sotto le superfici: tensioni e paradossi, ossimori e analogie, relitti di un mondo ridotto al silenzio da condizioni storiche, sociali o culturali. Nonostante le distinzioni di generi, infatti, una medesima inquietudine attraversa sia i lavori più documentari, sia quelli più creativi. Il primo soggiorno di Meneghetti in Estremo Oriente è all’origine di This Orient (2010), la serie di quattro video realizzati ad hoc per questa personale, in cui il paesaggio urbano e quello naturale, i volti come i suoni sono trasfigurati dagli effetti digitali – sovrapposizioni, rallentamenti, solarizzazioni, disturbi indotti o casuali, pixellizzazioni e filtri – che sospingono gli scenari originali oltre i limiti della riconoscibilità, verso esiti astratti. I fili elettrici sullo sfondo del cielo si fanno qui sbarre di una gabbia, là pieghe di tende oppure selva di pellicole mosse dal vento degli elettroni: velo allo sguardo, barriera oltre la quale spingersi o dietro la quale trincerarsi, rete comunicativa tra le cui maglie, tuttavia, scivola via il tempo. I ritmi lenti, e il sonoro avvolgente di William Basinsky (con soudscape di Matthew Mountford), conferiscono un aspetto meditativo a questo polittico elettronico che, nella forma della ripetizione differente, sfiora esiti ipnotici: un invito a inoltrarsi in profondità, dunque, e a sottrarsi al fascino dell’esplorazione estensiva. Meneghetti, questa volta, sembra essere stato catturato da una melodia interiore, come da un vortice che lo trasportato verso una rigenerazione della visione, verso pure immagini. Francesca Gallo